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Il sugo alla Genovese: eccellenza ligure o campana?

Se c’è una ricetta della tradizione campana amata in tutta Italia, è quella del sugo alla Genovese. Dall’aroma estasiante e dal sapore sublime, la deliziosa salsa di carne e cipolle rappresenta una delle più alte espressioni della cucina partenopea.

Dal carattere forte e al contempo gentile, con la sua lenta cottura e la peculiare dolcezza, il sugo alla Genovese rimanda immediatamente al calore dei pranzi domenicali in famiglia, e alle passeggiate defatiganti su lungomari assolati.

Sin dal Trecento il suo nome è legato a Napoli: ma allora, perché chiamarlo sugo “alla Genovese”? Le sue origini sono ammantate da romanticismo e leggenda, come spesso accade nella storia gastronomica nostrana.

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Perché il sugo napoletano a base carne e cipolle si chiama “Genovese”?

C’è chi narra sia invenzione di un marinaio napoletano che, innamoratosi di una giovane genovese durante le sue peregrinazioni via mare, tornato a casa la avrebbe omaggiata inventando il delizioso sughetto.

Altri, vociferano di un certo “o’ genovese”, appellativo di un fantomatico “miglior cuoco di Napoli”; altri ancora, ne attribuiscono la paternità ai cuochi genovesi che lavoravano nelle trattorie di Napoli durante il periodo Aragonese.

Quale che ne sia l’origine, il trattato “Cucina teorico-pratica” di Cavalcanti – punto di riferimento bibliografico per eccellenza – ne parla eccome, integrando la ricetta nella “tradizione napoletana” senza tanti giri di parole.

Quali sono i segreti di un perfetto sugo alla Genovese?

Carne e cipolle, dunque: più facile a dirsi che a farsi, perché la carne – rigorosamente vaccina – va scelta accuratamente, preferendo tagli che ben si prestino alle lunghe cotture senza indurirsi, né sfaldarsi.

La cipolla, poi, deve essere ramata, preferibilmente di Montoro, dolce e delicatamente aromatica. Nelle case dei napoletani gli ingredienti variabili si tramandano di generazione in generazione: pomodoro, vino per sfumare e bilanciare l’acidità della cipolla, sugna al posto dell’olio extra vergine.

Un altro segreto sta nella cottura lentissima: la Genovese si “stracuoce” per 5-6 ore, per far sì che le cipolle caramellino fino a creare una purea, pronta ad incontrare porosi ziti spezzati a mano e cotti al dente.

La Genovese secondo noi: prova i nostri cappellacci ripieni, con fonduta al tartufo

Da PummaRe, la tradizione è una cosa seria, ma anche la contemporaneità: per questo, lo chef propone una rivisitazione del miglior sugo alla Genovese, preparato a regola d’arte ma proposto come ripieno dei nostri cappellacci stesi a mano.

La porosità del cappellaccio si sostituisce perfettamente allo zito, regalandovi un primo piatto indimenticabile, la cui dolcezza è bilanciata da una saporitissima fonduta al tartufo.

 

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